GIANLUCA IOVINE
COSA ‘E NIRONE
“Signor Commissario, il fatto è, vedete, che a me nun me piace stà sulo. A me stà sulo me fa ammurbà. Anzi, se proprio ve l’aggia dicere, je, e stà sulo tengo proprio paura.” Pascalone Canessa diceva questo, e dondolava inquieto il corpo flaccido, le braccia inchiodate alla scrivania. Di tanto in tanto si fermava, asciugandosi con un fazzoletto di stoffa il sudore. Poi con quelle sue dita grosse e giallastre si accendeva una MS, fumandola nervosamente in aria. Gianni Romualdo ne aveva visti tanti di malavitosi, ma Pasquale Canessa fu Gerardo, per tutti Pascalone, era un caso a parte. Ogni mattina se ne stava con gli amici al Caffè Nacatola all’angolo, sorridendo al sole con gli occhiali neri e la testa rasata. Si accompagnava ai due fratelli Santoro, a Peppe Migliardini, a Giovannino Rende e a Geppino Russo. I turisti vedevano sei amici che bestemmiavano sul Napoli in B, ma i poliziotti sapevano che erano sei degli uomini del clan Fraticelli alla Torretta, i più scafati e feroci. Pascalone era il luogotenente di zona, e da Santa Maria della Neve a San Filippo a Chiaja, da Via Crispi a Santa Maria in Portico non si muoveva niente se Pascalone non parlava. “Era un periodo di crisi nel commercio, quel settembre 2003, vero? “ “Commissà, è ‘o vero! Nun se puteva fa ‘na lira. ‘E puteche nun faticavano proprio! Allora nuje ‘nce ‘nventajime Nirone.” E già, Nirone. Un bel pitbull allenato al vecchio cinodromo, a rincorrere ogni tipo di bestia, puntualmente dilaniata. Per tre anni un divo dei combattimenti tra Casalnuovo e Acerra, Pascalone si era tolto lo sfizio, comprandosi quel bel canillo bianco e nero. Lo aveva ammaestrato per bene, e piano piano ci si era affezionato. “A ggente se penza ca nuje d’a malavita nun tenimme paura. E invece.... Ce futtimme ‘e paura, ‘on Giuann! Accussì, je jevo pe’ strada c’o canillo”. Un giorno, mentre chiedeva i soldi a Zhang Tse, al negozio di pronto moda a Viale Gramsci, Zhang prese il coltello. Allora, Pascalone disse solo:” E’ cosa ‘e Nirone! Nirò, vaje!” E Nirone andò, e prese Zhang alla gola senza mollarlo un attimo. Poi coi denti sporchi di sangue, si accucciò ai piedi di Pascalone. Pasquale Canessa diede uno sguardo di disprezzo, l’ultimo, a Zhang, sputò saliva e nicotina sul suo corpo e se ne uscì. Pochi giorni dopo era in galera, per omicidio. E mentre Nirone veniva soppresso al canile a chilometri di distanza, Pascalone si appese con pezzi di tela alle sbarre. Non per colpa, ma forse per paura della notte, si era impiccato.
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