sabato 16 dicembre 2006

AMIR CHE VENNE DAL MARE

GIANLUCA IOVINE

Amir che venne dal mare

Di quelle mie giornate di bambino ricordo il senso del tempo, uno spazio soffice di ore scandite dal sole. Con Nazim, Fatima, e Mehmet giocavamo nascosti tra le barche capovolte. Immaginavamo enormi balene, mostri dei fondali che inghiottivano caicchi di pescatori. Ridevamo, ridevamo molto, persino della nostra povertà. Ci chiedevamo il perché di tutto: neanche il colore del cedro e della curcuma era scontato. Tutto andava capito, indagato. Per questo qualche notte capitava che non tornassimo a casa. I padri si disperavano, gli anziani guardavano in silenzio il mare. Noi invece cercavamo il filo di quegli strani traffici, di quei movimenti convulsi intorno a barconi e gozzi. C’erano uomini di pelle più chiara della nostra, di fuori villaggio. Oggi so da dove venivano, ma in fondo cosa conta? Oggi è cambiato tutto, potrei anche scordare, e invece non riesco. Li sento che parlano, che urlano, anche; li rivedo mentre si passano pacchi marroni sotto i nostri occhi ridendo sprezzanti… Uno di loro si accompagnava spesso a mio zio Yussuf. Lui era un fratello di mio padre. Quando egli morì gli fui dato in consegna, da noi era normale. Così non ebbi da ridire quando mi disse di raggiungerlo al porto, quella sera. Salutai i ragazzi che stavano giocando con un granchio rosso, e andai giù verso il mare. Mio zio era proprio con quell’uomo che diceva di chiamarsi Aliosha. Scherzavano e bevevano liquore d’anice. Ne volevano dare anche a me, ma non mi piaceva e rifiutai. Poi ricordo solo il buio. Mi svegliò non il sole, ma una donna che tossiva. Dove eravamo noi c’era tanta, troppa gente. Una selva di corpi di bambini anche più piccoli di me, e donne. Poi c’erano uomini. Alcuni erano diversi,da noi: c’erano africani nerissimi di pelle e bimbi dai volti pallidi e gli occhi blu. Alcuni parlavano, altri piangevano soltanto. Certi stavano male, alcuni sudavano e si giravano. Cercavo con gli occhi zio Yussuf, temevo che gli fosse accaduto qualcosa. Non capivo dove eravamo, allora andai su verso la luce che mi feriva gli occhi e trovai un mare diverso. La grande barca piena di uomini e donne dondolava sotto il sole. Gli uomini che avevo visto al porto per giorni erano tutti lì. Io piangendo chiedevo di Yussuf, e uno di loro che conosceva il curdo rise di me, e sputando in terra mi disse che dovevo scordarlo, che era come morto, che non l’avrei rivisto più. Io volevo sapere, avevo solo otto anni, dovevo sapere, e l’uomo di nome Zlatko mi disse nella mia lingua che lo zio mi aveva venduto per una cassa di fumo. Per l’orrore mi sembrava di morire, allora cercavo di non pensarci e di guardare il mare. Eppure, anche se a volte ci seguivano delfini, pesci rondine e gabbiani, sentivo che non era il mare mio. Il mio mare aveva il colore degli smeraldi di Saba, la sabbia chiara come le rocce dell’altopiano. Lo abitavano mostri che avrebbero divorato gli ingiusti e salvato gli innocenti, come diceva il mio povero padre. Innocenti affamati e assetati, da qualche parte in mare. Giorno dopo giorno, quel barcone puzzava. Fu allora che conobbi l’odore della morte. Una madre col figlio, un vecchio, due giovani storpi, e non so quanti altri. Tutti in mare, pasto per i pesci. Dopo sette giorni non avevo la forza di urlare, di bere, di piangere. Trovammo mare grosso, e i nostri aguzzini buttarono via altri corpi di vivi e di morti, finché una notte li vidi agitarsi. Urlavano verso il mare. Sembrava il mostro marino che doveva aiutarci, con gli occhi bianchi di luce. Invece, era una barca di uomini meglio di questi. Una barca grigia e più veloce di noi, che ci sbarrava la strada. Quegli uomini feroci buttarono in acqua tanti, anche me. Alcuni non ce la fecero, anche se gli uomini grigi volevano salvarli. L’amico cattivo di mio zio fu colpito e cadde in acqua, altri si fingevano poveracci, ma io sapevo che non era così. Ci presero dal mare, che tremavamo, e ci diedero cibo e acqua. Poi ci rinchiusero di nuovo, in una casa vicino al mare con le grate. Era vent’anni fa, ed è oggi. Otranto mi ha cresciuto, ma non smetterò mai di pensare al mio mare perduto.

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